Ma come fanno i personaggi…

Bankoboev.Ru_v_golove_polnyi_cirkCon un post atipico metto nero su bianco i tre principali problemi che si presentano nel creare i personaggi di una storia. Per me, caratterizzare i personaggi e dare a essi tridimensionalità si rivela uno degli aspetti più ardui della scrittura. Non nego che è anche l’elemento sul quale lavoro di più e spesso con risultati non soddisfacenti; un conto, infatti, è sapere come si fa e un altro riuscire a farlo bene. Spero sempre nei vostri utili consigli. Prendendo a pretesto il titolo di una famosa canzone di Dalla e De Gregori, vi presento gli aspetti salienti che devo mettere a fuoco ogni volta.

Ma come fanno i personaggi a…

1- A presentarsi al lettore 

Il personaggio di un romanzo è uno sconosciuto per il lettore. Egli lo incontra per la prima volta nelle pagine di un libro e, nel giro di poche righe, deve farsi un’idea precisa di lui: chi è, com’è, cosa fa, cosa ha fatto, quali desideri ha e qual è il suo mondo interiore. Per l’autore, ogni volta, la presentazione dei personaggi è un’impresa, soprattutto perché le varie informazioni non si possono concentrare nello spazio di una pagina; al contrario, esse devono essere diluite, evitando di soverchiare il lettore con rischiosi “infodump” (eccesso di informazioni). Concentrare tutte le informazioni provoca nel lettore un effetto simile a quello che proviamo noi allorché perfetti sconosciuti ci sommergono di informazioni – non richieste per altro- sulla loro vita.

2- A mostrare al lettore il loro aspetto fisico

Il libro è fatto di parole, non d’immagini. Mi viene in mente la bella edizione illustrata di Piccole donne che avevo nell’infanzia. A ogni personaggio corrispondeva un’effigie che si assestava nel mio immaginario indelebilmente. Nei romanzi degli adulti è impensabile. Si deve poter contare solo su parole e cioè verbi, sostantivi e aggettivi (l’ordine non è casuale). Come descrivere i personaggi senza appesantire il lettore? Negli esercizi del Laboratorio di scrittura, ho presentato un esempio tratto dal romanzo di Pirandello Il fu Mattia Pascal. Il brano è esemplificativo di come descrivere il protagonista partendo da un dialogo indiretto. Se non si vuole ricorrere al dialogo,  si può optare per l’uso di piccole “pennellate” in qua e là, lasciando tracce del personaggio nei pensieri degli interlocutori o utilizzando similitudini e metafore, come per esempio: “Aveva gli occhi da tragedia greca su una faccia da satiro” ( esempio tratto da Giuda di Oz). In generale,  penso, che dovremmo lasciare al lettore il compito di  arricchire con la propria fantasia i ritratti dei personaggi, evitando di spiegare tutto in modo minuzioso.

3- A manifestare al lettore il loro profilo psicologico

Questo è  l’aspetto su cui l’autore si gioca tutto. Se descrivere l’aspetto fisico dei personaggi è importante, connotare in modo preciso la loro psiche è fondamentale. La narrativa pullula di personaggi senza spessore, quelli, cioè, che non lasciano niente; non potendo diventare riconoscibili, risultano labili e saranno dimenticati in fretta dal lettore.

 «Quando seppe che era là, provò a un tratto un tale piacere e insieme un tale timore che gli si mozzò il respiro e non riuscì a pronunziare le parole che voleva dire […] Come l’avrebbe trovata? Pensava […] era un’altra. Era spaventata, timida, e perciò più simpatica. Lo vide subito: l’aspettava […] Arrossì, impallidì, poi arrossì di nuovo, con le labbra che le tremavano. Egli, dopo aver salutato la padrona di casa, le si avvicinò, s’inchinò e si diedero la mano in silenzio […] Non c’era nulla di straordinario in quello che diceva, ma egli trovava un significato che non si poteva esprimere in parole in ogni sillaba, in ogni movimento delle labbra, negli occhi, nelle mani di lei, vi trovava una fiducia, una carezza che implorava il perdono, una promessa, una speranza, e l’amore del quale oramai non poteva più dubitare. Levin si sentiva come se gli fossero cresciute le ali […] Levin sapeva che lei stava ascoltando le sue parole e che le faceva piacere udirle. E soltanto quest’unica cosa lo interessava […] Si sentiva a un’altezza tale da fargli girare la testa, e là in basso, da qualche parte, lontano, stavano tutti quei buoni e bravi Karenin, Oblonskij e tutto il mondo […] Fra lei e Levin era cominciata una conversazione, ma non era neppure una conversazione, era qualcosa d’intimo, di misterioso che li avvicinava sempre più e li rendeva felici e insieme atterriti dinanzi all’ignoto nel quale entravano […] Egli vide soltanto quegli occhi chiari, sinceri, spaventati dallo stesso radioso amore che riempiva tutta l’anima di lei. Essa si fermò tanto vicino a lui che quasi lo toccava… (da A. Karenina di Tolstoj)

La caratterizzazione dei personaggi da parte di Tolstoj è talmente vera e autentica che si staglia nella mente del lettore come una lama. Ogni suo personaggio è diverso dall’altro, talmente riconoscibile fin dall’inizio del romanzo, che il lettore ha l’impressione di diventarne intimo.

Come si fa, senza essere Tolstoj (ahimè), a dotare i propri personaggi di un carattere definito e di un mondo interiore convincente? Il primo passo, secondo me, è immedesimarsi in ciascuno di loro.

Prima l’autore delinea il profilo del personaggio, dosando in lui in modo equilibrato qualità e difetti, qualche vizio e qualche virtù,  abitudini, credenze, modo di pensare, cultura ed emozioni; poi deve calarsi in lui ogni volta che lo fa agire, parlare o interagire con qualcuno;  riuscire a immaginare, per poi descrivere un personaggio, quello che proverebbe e come reagirebbe nelle diverse circostanze, significa dargli vita. Infine l’autore deve sentire il personaggio creato come parte di sé e contemporaneamente distante da sé, come qualcuno che rivendichi la propria autonomia. A questo proposito vi consiglio la lettura della lettera scherzosa  attribuita da Pirandello al personaggio Martino Lori e a cui lo scrittore rispose così:

 

Indignato da questa lettera, che per me è l’espressione della più nera ingratitudine, di cui possa dar prova un personaggio verso il suo autore, dichiaro pubblicamente, che se il signor Martino Lori con le sue frasi ambigue ha inteso di difender la critica contro di me, io do torto alla critica contro di lui, e che se invece ha inteso di farsi beffe della critica, io do torto a lui e ragione alla critica, pur di non esser d’accordo con lui, in nessun modo. Luigi Pirandello

Forse a significare che l’autore, una volta creato il personaggio, lo deve lasciar andare , affinché brilli di luce propria.

Cosa ne pensate? I miei dubbi sono gli stessi che affliggono anche voi? Come li affrontate?  I vostri preziosi consigli sono ben accetti.

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

3 Risposte a “Ma come fanno i personaggi…”

  1. Per quel che riguarda il primo punto, è qualcosa su cui devo lavorare ancora molto, perché ammetto di aver la tendenza a concentrare tutte le informazioni nei primi capitoli. Quando scrivo, ogni dettaglio sembra importantissimo. è dopo che taglio, taglio, taglio… 😀

    La descrizione fisica non mi dà problemi, se riesco a ricordarmi che il punto di vista in terza persona limitata pone dei paletti. Per l’immedesimazione ne parlavo proprio ieri con mio marito: ormai i miei protagonisti non hanno più segreti e non cado più negli errori e nelle incongruenze che c’erano all’inizio. 🙂

  2. Io cerco di focalizzare per ogni personaggio principale alcune caratteristiche centrali, sia fisiche che caratteriali, in modo da non disperdermi troppo nei dettagli. Per il resto mi calo nel personaggio dal cui punto di vista sto raccontando e immagino la scena con i suoi occhi. Cosa noterebbe? Cosa penserebbe? Cosa proverebbe? Ci sono sempre elementi che rimangono in ombra e altri che accentrano l’attenzione. Prendo questi ultimi e li sviluppo. E spero che ne venga fuori qualcosa di buono!

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