Il ruolo delle emozioni

 

Pascal afferma che la natura dell’uomo cerca il movimento, e che nulla è insopportabile  quanto essere senza passioni, senza faccende e senza divertimento. Leggere una storia può soddisfare il  bisogno naturale di muoverci, appassionarci e divertirci. Ma se la magia non scatta, se al contrario con la lettura il vuoto di passione e di divertimento aumenta, cosa resterà?

Per un lettore incappare nel libro noioso è una  tragedia che poco a che fare con l’aspetto economico. Lo costringe a una battaglia  con la propria autostima: “Se solo fossi più caparbio, più intelligente, più colto, di sicuro riuscirei a  terminarlo”.

Per un autore, al contrario, una lettura noiosa può essere sfruttata a proprio favore. Sì, avete capito bene, può essere un’occasione da non lasciarsi sfuggire. Niente insegna come un’esperienza sul campo.

L’effetto noia

Spesso  la lettura noiosa è quella in cui  manca il pathos e la partecipazione dello scrittore, dove le emozioni non riescono  a fluire e, di conseguenza,  non arrivano al lettore. Ho terminato qualche tempo fa un libro che  ho fatto molta fatica a terminare. Questa volta ho tenuto duro, volevo capire perché nonostante la scrittura fluida, il  testo organizzato in tutte le sue parti, il finale buono, anche se leggermente sottotono rispetto al resto, la portassi avanti con fatica.

Dopo aver analizzato le cause, ho capito che mancava di quel coinvolgimento emotivo che riuscisse a incollarmi alle pagine. Un discorso abbastanza scontato, se vogliamo: se lo scrittore lascia scorrere le proprie emozioni, il lettore partecipa e ne rimane coinvolto. Al contrario, se rimane impassibile e freddo, come può emozionare gli altri?

Comunicare e narrare

Sono le due facce della stessa medaglia, entrambe  modalità  per stabile un contatto con i nostri simili. L’uomo ha imparato a comunicare e  a narrare fin dal tempo delle caverne e non ha mai smesso di farlo, prima con il linguaggio orale e successivamente avvalendosi anche di quello scritto.

Le due forme di comunicazione hanno mantenuto  una propria specificità: se per comunicare un fatto, un avvenimento, una conoscenza il distacco dal piano emotivo è persino utile al fine di salvaguardare l’obiettività del messaggio,  per narrare ci si serve delle emozioni.

Non so voi, ma io ho ancora nella memoria le fiabe e le favole raccontate dai miei nonni, l’intensità della loro voce, accompagnata dai gesti, dalla mimica, dal tono che si alzava e si abbassava, persino di un certo luccichio che sorprendevo nei loro occhi quando si arrivava  al climax. Terminata una fiaba, ne volevo subito un’altra e poi un’altra, fino allo sfinimento. Non mi annoiavo mai, nonostante alcune volte presentassero contenuti meno avvincenti.

A pensarci bene,  non erano tanto i fatti quanto la voce narrante che in quel momento apparteneva al mio nonno o alla mia nonna a rapirmi. Era la voce l’artefice della magia. La stessa magia che ancora oggi cerco nelle storie e nei libri, ma che spesso non trovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

2 Risposte a “Il ruolo delle emozioni”

  1. Mettere le emozioni sulla pagina costa fatica all’autore, deve immedesimarsi nei suoi personaggi, senza sconti, e soffrire e gioire con loro. Per riuscirci, deve essere coinvolto in prima persona nella storia che sta scrivendo. Se non lo fa, perché non ha il giusto livello di empatia, perché non è abbastanza dentro al dramma, perché è troppo tecnica e niente cuore, allora la storia non funziona. Non ce n’è proprio.

  2. Ciao Barbara, infatti, è proprio così. La tecnica senza cuore fa trasparire il vuoto e la mancanza di empatia e il lettore fugge lontano. Grazie per la condivisione

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