Quando il corpo urla di dolore

Cristina Sarcina è una giovane donna che per anni ha combattuto contro l‘anoressia. Insieme a tanti Eroi Contemporanei, affetti da gravi patologie croniche, collabora con Il Bullone, giornale della fondazione B.LIVE, diretto da Giancarlo Perego, giornalista del Corriere della Sera. La  testimonianza di Cristina, che potete trovare nel numero 26, aiuta a fare luce sul disturbo dell’anoressia su cui circolano ancora dolorosi pregiudizi.

Giancarlo Perego, dopo aver ha letto Come una piuma, il mio romanzo che ha per tema l’anoressia, ci ha messe in contatto attraverso Il Bullone.

Ecco la lettera che ho scritto a Cristina, pubblicata sull’ultimo numero:

Cara Cristina,

dicono che l’amore non abbia bisogno di tante parole. La tua lettera, però, è capace di arrivare dritta al cuore con la forza che solo l’amore conosce.

Neanche una parola spesa con il fine di assolvere un mero compito. In ciascuna ci sei tu, la malattia, le battaglie e la speranza; fuori, tutti gli altri cresciuti nei luoghi comuni sull’anoressia, e che grazie a te conoscono finalmente l’altra faccia della malattia.

Seppure in punta di piedi sono entrata anch’io nella tua storia, attratta dalla forza di chi lotta persino contro se stessa per preservare la vita.

Lo hai messo in chiaro con la determinazione di coloro che hanno rischiato di perdere l’opportunità del vivere. L’ho riconosciuta quella forza, so bene cosa significhi prendere atto che la vita, per quanto bastarda possa sembrare, è un dono straordinario, e se capita di rischiarla, per motivi che esulano dalla propria volontà, ruggisce dentro come un leone.

“La vita l’ho sempre vissuta appieno” hai esordito. Più avanti affermi: “Forza, determinazione e un po’ di ribellione non mi hanno mai abbandonato, ma ho imparato a modulare le emozioni e le reazioni. Ho pian piano ripreso la testa e la mia vita.”

Il filo conduttore è sempre lo stesso: l’amore per la vita come risorsa per guarire e insieme arma contro il pregiudizio che l’anoressia sia uno scandaloso rifiuto. Un messaggio che se solo riesce a scalzare le certezze dei soloni pronti a giudicare dalle apparenze, è già una grande vittoria.

Parli di controllo del cibo come barriera per difenderti dalle emozioni negative, e le emozioni non espresse diventano una gabbia pericolosa. Ti immagino, poco più che bambina, schiacciata dal senso di inadeguatezza. Dinamiche terribili, nate negli anni più insidiosi, quando la necessità di indipendenza dalla famiglia espone ai giudizi del mondo. Una parola, uno sguardo, una frase ambigua diventano frecce capaci di ferire e contro cui la psiche reagisce in modo imprevedibile. Entrare nel corto circuito dell’anoressia nervosa è la conseguenza di quel disagio profondo. A te è capitato come capita a tanti, troppi.

Molti pensano che l’anoressia sia la deriva di una dieta sfuggita di mano. Si sbagliano. In realtà è il corpo che urla di dolore contro l’indifferenza o peggio ancora il disprezzo del mondo.

Tutto questo però non ti ha tolto di mano il futuro. Hai guardato oltre la malattia che subdola si è ripresentata attaccandoti più spietata che mai; ferita, hai risalito la scarpata con le unghie e con i denti e sei arrivata alla vetta. Ti auguro che non ci siano più limiti ai tuoi sogni.

Ho scritto la storia di Cecilia, una donna anoressica. Ho scelto di raccontare la sua vicenda attraverso una lunga introspezione, lasciando emergere le emozioni negate per troppo tempo. L’identificazione con la protagonista ha permesso di calarmi nel problema con tutta me stessa e di comprenderne i meccanismi perversi.

Tu, Cristina, dici nella lettera: “La cosa vera è che è una malattia infame da cui si può guarire, ma è anche una malattia infame perché si autoalimenta: il malato vuole guarire, ma a tratti la patologia che pian piano lo sta annientando, si rinforza.”

Cecilia afferma durante il racconto: “Controllare il corpo e annientare la fame mi facevano sentire onnipotente. Ero capace di digiunare per giorni stoicamente, provando una sofferenza indicibile. E questo mi riempiva di una stima per me stessa senza pari. Quando lo misi a fuoco, rabbrividii.”

Confessi che non è facile parlare di anoressia, purtroppo è così.

Ogni volta che presento la storia a potenziali lettori, puntuale arriva la domanda: perché proprio di anoressia? Tanti preferiscono rimanere a distanza di sicurezza da certi argomenti: la malattia e la morte sono ormai dei tabù e il cuore dell’uomo, trascinato nella deriva etica, cerca storie di eroi senza macchia e senza paura in cui identificarsi.

Allora perché parlarne? La tua risposta è da brividi: “Ho zittito la voce timida e ho dato spazio a quella che vuole far sapere, aiutare, urlare, perché di storie così ce ne sono tante e bisogna cercare di uscirne, di lottare e di riprendersi in mano la propria vita”.

Perché, aggiungo io, dietro alle malattie ci sono donne e uomini che considerano la vita una gemma rara. Non si risparmiano per salvaguardarla, attraversano le valli della debolezza, superano le cime dell’orgoglio, e lottano contro le belve delle proprie ossessioni. Perché hanno sperimentato che niente vale di più di un solo secondo su questa Terra.

Sono i veri Eroi Contemporanei, i soli che meritano di uscire allo scoperto. Tu, Cristina, sei una di loro.”

Il tema dell’anoressia è controverso, lo capisco, ma non possiamo tirarci indietro e fare finta che non esista, mentre tanti giovani rischiano la vita. Sei d’accordo? Cosa ne pensi?

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

20 Risposte a “Quando il corpo urla di dolore”

  1. Non ho mai affrontato il problema dell’anoressia, e di questo sono grato all’universo.
    Ma forse proprio questo è l’errore più grande di noi adulti, mettere la testa sotto la sabbia di fronte ai problemi, seri, dei giovani giustificandoci con un superficiale “E’ solo una ragazzata, passerà. Alla loro età, che problemi avranno mai…”
    E intanto quello che all’inizio è un semplice malessere riesce a radicarsi, proprio perché non affrontato dandogli il giusto peso, e diventa un problema vero e proprio, magari assai serio.
    Arrivati a una certa età ci si lamenta che i giovani non ci prestano attenzione, che non trovano il tempo di sedersi e ascoltare i nostri “pareri dell’esperto” (ascoltare noi o il nostro Ego da sapientoni?), ma, noi li ascoltiamo i ragazzi quando vogliono comunicarci qualcosa?

    1. Credo anch’io che alla base di questo disturbo ci sia una forte incomunicabilità. Nel mio romanzo la protagonista denuncia l’incapacità dei propri cari di percepire i bisogni più profondi; Cristina Sarcina conferma che all’origine della malattia ci sia stata la mancanza di empatia con il mondo. Ma quello che maggiormente l’ha colpita, una volta ammalata, sono i muri e pregiudizi che alcuni hanno eretto nei suoi confronti. Dovremmo abbattere questi muri e non solo nei confronti delle persone anoressiche, in generale verso tutti i deboli e i sofferenti. Grazie per il tuo commento, Calogero;)

      1. Grazie a te per l’articolo, Rosalia.
        Auspico che possa aprire gli occhi a quanta più gente possibile riguardo una tematica spinosa e presa sottogamba da chi ha la fortuna di non viverla in maniera diretta.
        Un difficile impegno sociale, il tuo, che ti contraddistingue e ti fa vero onore, ché a scrivere libriccini di barzellette sono buoni tutti 😉

          1. Di questo mi dispiace. Almeno sei riuscita a trovare il lato positivo dell’avversità che ti è capitata. Non era facile ma con forza d’animo ce l’hai fatta. Purtroppo non tutti sono capaci di superare le avversità. Sei forte, Rosalia, continua a tenere duro 😉

  2. Posso dire una cosa? Siete due grandi Donne!
    Condivido il vostro pensiero e sì, bisogna parlarne. FAre come se no esistesse non la elimina anzi, l’alimenta. Le dà quel carburante di cui ha necessità per rinvigorirsi (lei non chi ne soffre). Il silenzio. Il taciuto.
    Coraggio fanciulle! Avanti tutta!

    1. Grazie Patrizia, chi soffre di anoressia non ne parla volentieri. Cristina è davvero una giovane coraggiosa, l’ammiro;)

  3. Che bella lettera che hai scritto a Cristina, brava Rosalia le tue parole mi hanno messo i brividi, toccano l’anima. Purtroppo conosco questo problema, una mia amica ne ha sofferto per anni e la figlia di un mio amico ne sta soffrendo, è una malattia terribile.

    1. Grazie Giulia, Il problema dell’anoressia si sta diffondendo a macchia d’olio e non riguarda solo la fascia adolescenziale. Da poco ho ritrovato una conoscente ultraquarantenne ridotta a pelle e ossa per l’anoressia. Penso sia arrivata l’ora di rompere i muri di silenzio. Un abbraccio

  4. Credo sia una malattia subdola e invisibile difficile da sconfiggere, ma non impossibile. Servono coraggio e amore, come descrivi bene nel tuo libro e come sono certa la tua voce spieghi durante i tuoi interventi. Aiuterai moltissime persone a tirare fuori il proprio problema per farlo affievolire alla luce del sole.
    Auguro tutta la forza e costanza del mondo a chi sta cercando di uscire da questa malattia.

    1. Sì, cara Nadia, dici bene: l’anoressia se trattata fin dal suo insorgere è curabile. Ma come afferma anche Cristina, esiste il pericolo delle ricadute in ogni fase della vita. L’importante credo è prenderne coscienza e chiedere aiuto. Spero che la storia che ho raccontato serva quantomeno a ispirare qualche riflessione nei giovani a rischio. Un abbraccio

  5. Se guardo al mio vissuto riconosco una relazione problemática con il cibo, anche se per molto tempo ignorata. Le emozioni negative, delusioni, senso di inadeguatezza, spingono molte di noi a soffocare il dolore in molti modi diversi, tutti caratterizzati dal non voler sentire. Chi mangia troppo o troppo poco, chi si stanca di sport, chi usa sostanze, anche le più comuni, per tirarsi su e non sentire. Fosse anche solo la fatica. Queste parole e il percorso delle donne e degli uomini che lo hanno attraversato ci ricordano che vivere è un dono che va difeso. Ogni volta che leggo qualcosa di te e di queste storie, come il tuo romanzo, mi sento orgogliosa di appartenere allo stesso genere. Il problema non è cadere, ma come ci si rialza.

    1. Cara Elena, sei tanto cara, grazie infinite! La vita è straordinaria, da sopravvissuta vorrei gridarlo a squarciagola. Purtroppo per tanti è un peso insostenibile e questo è il dolore più grande per chi lotta ogni giorno per vivere. Il cibo è consolatorio, chi ne abusa è alla ricerca di riempire un grande vuoto; chi se ne priva, urla al mondo il suo dolore ma non è compreso. Ti ringrazio anche per aver lasciato la testimonianza del tuo passato:)

  6. Sono andata a leggermi anche Il Bullone, pagina 9, dove c’è anche un foto di Cristina, che già vedo magra così, ora che sta relativamente bene, non riesco a immaginarmela a 32 kg. Non ho mai avuto problemi di anoressia, né di bulimia (mi dicono che vanno pure in tandem queste due malattie, a volte alternandosi), però quando Cristina (ma anche Cecilia nel tuo libro) spiega come si sente, la capisco. Questa frase mi colpisce: “Ero un po’ grassottella e qualcuno mi derideva; anche se ci rimanevo male, continuavo a essere una bambina ironica, facevo parte degli scout e mi divertivo parecchio, però… però certe cose ti cambiano, certe cose ti toccano, e allora ecco che ti senti diverso.”
    Il punto è quello: certe parole, dette dagli altri senza pensarci troppo, senza calcolarne le conseguenze, hanno un impatto devastante. Che è tanto più devastante quanto quelle persone ci sono vicine. Se non c’è nessuno lì vicino che ci fa capire la stupidità di quelle parole, diventano dei traumi che ci portiamo dietro a vita. Perciò sì, bisogna parlarne di più, e prevenire ove possibile.

    1. Da madre e da insegnante cerco di controllare al massimo il linguaggio, le parole sono armi pericolosissime che feriscono per sempre e talvolta uccidono. So di un ragazzo finito nella deriva della droga per una frase del padre quando aveva dodici anni: “Con la testa che ti ritrovi, non farai mai niente di buono nella vita”; o di altre vite distrutte da un: “Non dovevi nascere, si stato uno sbaglio”. Come dici tu, parlarne è fondamentale.

  7. La bellezza di questo libro sta tutta nel suo potenziale di arrivare alle persone. E questo è un merito enorme che puoi prenderti. Immagino la soddisfazione di poter estendere il discorso al di fuori delle pagine. Deve essere bello.
    Mi sono imbattuta in un paio di casi di anoressia nel mio percorso di insegnante. Riassumerli in poche righe sarebbe impossibile. Ne ricordo la portata, la preoccupazione di famiglia e scuola, e gli esiti positivi. Quelle ragazze seppero tornare indietro in tempo, prima di quella disperante impotenza che mette in conflitto il voler guarire e il poterlo fare realmente.
    Uno dei miei desideri è raccontare questo disagio sul palcoscenico.

    1. Cara Luz, quando ho scritto Come una piuma l’intento era raccontare la storia di una donne anoressica, far arrivare la sua voce e i suoi pensieri. Ma non avrei mai sperato che facesse pensare e discutere come è accaduto in questi mesi. E’ andato oltre ogni aspettativa. Portare il disagio dell’anoressia in teatro sarebbe di grande impatto, perché è un tema che non lascia indifferente, anche se qualcuno ti chiederebbe come è accaduto a me, storcendo la bocca, perché parlare proprio di anoressia. Circolano ancora tanti pregiudizi su questo disturbo, chi ne soffre è accusato di rifiutare a vita, o peggio di andarsela a cercare. Non è così, purtroppo, la testa va in tilt e trascina il corpo in un inferno. Si deve sapere, per questo ti auguro di cuore di realizzare il tuo sogno.

  8. In generale, credo che qualunque tipo di disturbo psicologico abbia una sua causa nel profondo dell’anima, pertanto chi soffre di tali disturbi va aiutato. Liquidare tutto come “bizzarrie” di adolescenti troppo viziati o troppo fragili non è un modo di affrontare il problema, semmai è un modo per eluderlo, per fingere che non esista.
    Purtroppo c’è ancora tanta gente convinta che le uniche “malattie” sono quelle fisiche, tipo il morbillo o la varicella, mentre i problemi di natura psicologica sarebbero solo “fanfaluche” di coloro che “pensano troppo”.
    Da padre di una figlia ora adolescente (e io stesso, per ricordo dei miei anni adolescenziali che non furono spensierati, tutt’altro) so che i problemi psicologici spesso sfociano in reazioni imprevedibili e pericolose. Negare che siano un vero problema e minimizzarlo è forse l’atteggiamento di chi – beato lui – non ha mai avuto problemi emotivi. Ma il problema esiste e il supporto psicologico è fondamentale e doveroso.

    1. Grazie Ariano per il contributo, essere padre di un adolescente è un impegno costante anche se pieno di soddisfazioni. Minimizzare è pericolosissimo oltre che superficiale

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