Un libro indimenticabile: “Il cacciatore di aquiloni”

img152042La lettura de “Il cacciatore di aquiloni” è una di quelle rare esperienze che se si ha la fortuna di vivere, rimane indelebile nel ricordo.

Ciò che emerge dalla storia struggente di Hassan, il ragazzo dal viso di bambola e Amir, suo amico fraterno, è la consapevolezza che i sentimenti umani, la vergogna, la colpa, l’amicizia, il perdono, l’espiazione sono assolutamente universali e travalicano ogni nazionalità e confine.

Il cacciatore di aquiloni, scritto da Khaled Hosseini, scrittore afghano consacrato al successo con Mille splendidi soli nel 2007 e con E l’eco rispose nel 2013, è ambientato tra l’Afghanistan martoriata dai continui conflitti e gli Stati Uniti, dove il protagonista insegue la redenzione dalla sua terribile colpa.

“Iniziai a scrivere il cacciatore di aquiloni nel marzo del 2001 per raccontare a me stesso una storia che aveva messo radici nella mia mente: la storia di due ragazzi, uno tormentato emotivamente, l’altro puro, leale, di grande bontà e integrità.”

Scrive Hosseini nella prefazione, spiegando anche che ciò che lo ha guidato nella creazione della storia non è stato il sentimento di amicizia tra i due bambini, quanto la ricerca del perché e del come questa stessa amicizia fosse condannata a rompersi.

La storia non è autobiografica anche se per molti aspetti l’infanzia dello scrittore si rispecchia in quella di Amir:

“Dopo aver ultimato Il cacciatore di aquiloni, forse ho acquisito una consapevolezza ancor più profonda di come l’atto creativo possa influenzare la vita dei lettori e persino quella dell’autore.”

Molti aspetti della vita dello scrittore confluiscono nella narrazione delle vicende di Amir, l’infanzia dorata nella Kabul di mille e una notte, ancora preservata dalla devastazione, la fuga in America e poi il ritorno nella sua patria ventisette anni dopo come medico e scrittore affermato.

Durante il viaggio di ritorno in Afghanistan che Amir ha lasciato all’età di undici anni, il confine tra i ricordi personali dello scrittore e quelli del suo protagonista cominciano a intersecarsi e a confondersi. La cosa più sconvolgente riguarda il ritrovamento del palazzo paterno, affrescato e circondato da meravigliosi giardini, che si rivela all’uomo, semidistrutto e depredato.

Il merito di questa storia è anche quella di consegnare ai lettori di tutto il mondo l’immagine di una nazione, l’Afghanistan, che non è solo Bin Laden e  campi di papavero, ma anche una terra dal passato glorioso, di una bellezza struggente e infelice.

L’incipit del libro lascia senza fiato:

“Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975 …”

Con queste parole l’autore entra nel vivo della storia presentando, senza chiarirlo, l’episodio che sconvolgerà la vita di Amir e Hassan, il cacciatore di aquiloni. Ogni riga da quel punto in poi diventa un lento dire e non dire, un disvelare cauto della verità che sta dietro alla storia, cuore pulsante della trama.

Un gioco narrativo di grande abilità e destrezza stilistica che attanaglia il lettore e lo inchioda al testo fino all’ultima parola.

Un’altra tematica affrontata dall’autore è il rapporto di Amir, fragile bambino dall’anima femminea, con il padre Baba, presentato così:

“Secondo una leggenda familiare, una volta mio padre aveva lottato a mani nude con un orso bruno, se questa storia avesse riguardato un’altra persona sarebbe stata giudicata “laaf”, la tipica tendenza all’esagerazione degli afghani. Ma nessuno avrebbe messo in dubbio un racconto di cui fosse protagonista Baba…”

Una presenza ingombrante quella del padre, il cui sguardo giudice schiaccia il figlio all’angolo della propria inettitudine, tanto da renderlo rinunciatario e vile.

Eppure proprio la figura del padre, tanto amato quanto odiato, diventa per Amir la stella polare per uscire dal tormento in cui lo ha confinato il senso di colpa. E nella redenzione finale c’è  l’impronta eroica dell’uomo che un giorno uccise l’orso bruno.

Un libro commovente e raro, indimenticabile come lo ha definito Isabelle Allende che consiglio di leggere: il dolore e la gioia di cui sono permeate le pagine si delineano davanti al lettore come fossero frammenti vivi di anima. Se lo conoscete vi prego di condividere qui sotto le vostre impressioni.

 

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

2 Risposte a “Un libro indimenticabile: “Il cacciatore di aquiloni””

  1. Libro indimenticabile, davvero, letto con trasporto totale, per tutte le immagini che riesce a trasmettere attraverso le descrizioni vivide, i dialoghi pungenti, le riflessioni profonde. Il lettore è trascinato in un mondo crudo, ma che attanaglia l’anima.
    A mio avviso, ciò che emerge da quest’opera, in senso immediato, è l’amicizia intima tra due bambini di ceto differente, ma ciò che trapela senza prepotenza e solo a una lettura più profonda è il rapporto tra un padre egocentrico, onnipresente, vincente e un figlio fragile, sensibile e apparentemente perdente. Solo apparentemente. Il rapporto complesso tra i due ha, invece, bisogno di una metabolizzazione matura da parte del figlio per essere risolto. Che ne pensi, Rosalia?
    Da leggere e da rileggere

  2. Bellissima recensione. Sono d’accordo anche sulle considerazioni del
    rapporto conflittuale che Amir vive con il padre, un legame che nel tempo
    si realizza nella sua interezza.

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