Esiste una sola scuola: quella del talento.
Si può definire scrittore qualcuno che non ha ancora pubblicato?
Dal mio punto di vista, sì. Per lo stesso motivo per cui un pittore o uno scultore, anche sconosciuti, si definiscono tali. Chi scrive, dicevo nel precedente post, risponde al richiamo di un talento innato, la dote, che da sola però non basta.
Lo scrittore è colui che scrive non con lo scopo di pubblicare, bensì di comunicare. La comunicazione è il primo scopo dell’Arte: con un quadro, una poesia o un film, l’autore intende arrivare agli altri e trasmettere loro il proprio mondo.
Per farlo, deve usare un codice nel quale si senta a proprio agio, che gli sia naturale. Chi scrive spesso trova questa attività liberatoria oltre che appagante, perché la scrittura dà voce alla propria interiorità.
Questo non toglie che per scrivere non si debba apprendere la tecnica o affinarla, se questa in qualche misura c’è già.
In primo luogo uno scrittore deve leggere tanto. Preciso meglio, non avere letto molto nell’infanzia, ma farlo di continuo. C’è chi consiglia, che tra un manoscritto e l’altro, bisognerebbe fare una pausa e dedicarsi solo alla lettura. Le storie, le immagini narrative e la ricchezza lessicale saranno il serbatoio da cui attingere nuova linfa.
In secondo luogo uno scrittore deve poter contare su conoscenze morfo-sintattiche inappuntabili. Se così non fosse, deve rimettersi a studiare ortografia e grammatica.
Infine deve nutrire il proprio immaginario. Come? Osservando la vita in modo costante e puntiglioso, cercando di superare il livello superficiale che spesso appaga solo i sensi e scoprire il significato più profondo delle cose.
Siete d’accordo con me? Volete aggiungere altre riflessioni? Fatelo pure!
