Lidia e le altre: quello che le donne non dicono

Anche il lessico si è adattato alla violenza contro le donne, un fenomeno che sembra non arrestarsi mai. La parola femminicidio è entrata nel linguaggio comune con una sentenza del 2009  e da allora non c’è un dannato giorno in cui non lo si trovi nei titoli della cronaca nera. Femminicidio fa rima con stillicidio, quello che molte donne subiscono, spesso nel silenzio, da parte di uomini padroni.

La morte per femminicidio nel mondo fa più vittime di una malattia o di un qualsiasi incidente. Diffido sempre di dati freddi e asettici, ma questo purtroppo è confermato dallo studio di una prestigiosa università e fa davvero paura.

Cosa dire di nuovo dell’escalation di violenza e di sopraffazione che non sia stato ancora detto? Cadere nel banale o, peggio, nel retorico è un attimo e il messaggio rischia di arrivare distorto o addirittura sbagliato.

Ho scelto di dire il mio No alla violenza contro le donne portando alla ribalta la storia di Lidia, una delle tante che ci ha rimesso la vita. Di lei non si è occupato nessun giornale importante, nessun programma famoso, la sua morte non è stata degna  neppure di un titolo in prima pagina del quotidiano locale. Perché c’è una violenza ancora più terribile delle botte: l’indifferenza di chi ci abita accanto.

La storia di Lidia

Lidia camminava sempre a testa bassa. Minuta, goffa dentro agli abiti di una taglia sopra la sua donati dal centro caritas, la vedevi percorrere la strada principale  nelle ore umide del mattino. Usciva presto con lo zainetto sulle spalle per andare al supermercato. Pochi spiccioli nel borsellino che bastavano appena per un chilo di pane e un pacco di pasta con cui doveva sfamare tre figli. Scambiava qualche parola con la cassiera con una s sibilante che non si poteva ignorare.

Le poche volte che alzava gli occhi mesti ti arrivava un pugno in pieno stomaco. Quello sguardo sembrava rincorrere un pensiero appena fuggito, un’idea che prima c’era e chissà dove era finita. Occhi che la dicevano lunga. Se uno aveva la pazienza di starli ad ascoltare capiva tutto.

Lidia teneva la mano destra nella tasca del giaccone sformato e tentava di mettere nella borsa le quattro cose con la sinistra. Non per una strana fissazione, ma a causa della vergogna di mostrare la mano senza falangi, schizzate via, si diceva, per una porta chiusa con troppa violenza.

In quella casa dalle persiane chiuse, incidenti così erano all’ordine del giorno: anche al più piccolo della casa  era partito un dito sempre per la stessa causa. Invece la suocera era morta strozzata con un boccone andato di traverso. Tutte le sfortune del mondo sembravano concentrarsi tra quelle mura. Al bar lui raccontava  che i tre figli maschi andavano educati con botte e calci se no chissà che strada avrebbero preso e  che la moglie doveva stare a casa per non finire nei pettegolezzi come le altre sgualdrine. A lui invece il lavoro non piaceva perché si guadagnava di più in una partita a poker che a spaccarsi la schiena nei cantieri.

Poi un giorno bussò alla porta l’assistente sociale del comune, le maestre avevano segnalato  i comportamenti anomali dei tre bambini.  Non poté che constatare una desolante povertà, lì dentro mancava persino l’energia elettrica. Lidia, durante il colloquio, tenne gli occhi bassi per nascondere le lacrime che le scendevano. Provò quasi a difenderlo: era disoccupato, da piccolo aveva subito le botte del padre. Poi un grido: «Mi aiuti, devo portarli via prima che diventino come lui»

L’assistente sociale inviò la relazione al giudice minorile che fece spostare subito i ragazzi in una struttura lontana dal paese. Lidia rimase sola, non aveva nessuno che la potesse ospitare e non voleva allontanarsi troppo dai suoi figli. Quando un’auto la investì e la gettò nella scarpata, era appena stata a comprare il biglietto del treno. Il suo corpo fu trovato dopo qualche giorno.  Lui non aveva neanche denunciato la scomparsa, diceva a tutti che se ne era andata. Al bar lo avevano visto festeggiare con una pinta di birra per la ritrovata libertà. Così credeva, fino a quando nel 2010, a un anno dalla morte di Lidia,  fu arrestato per femminicidio.

http://www.elenaferro.it/1522-no-violenza/

http://www.publicpolicy.it/wp-content/uploads/2013/05/Convenzione_Istanbul_violenza_donne.pdf

http://www.elenaferro.it/dolore-ignorato-delle-donne/

http://www.nadiabanaudi.it/2017/09/25/10035/

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

11 Risposte a “Lidia e le altre: quello che le donne non dicono”

  1. Cara Rosalia, grazie per la sensibilità con cui hai raccolto l’invito di qualche giorno fa. La storia di Lidia è una storia di soprusi, di violenze, di miseria, umana ed economica. Di pinte di birra scolate alla faccia del dolore. Grazie per averla raccontata. Le penne come la tua migliorano il mondo.
    Un abbraccio grande

    1. Grazie Elena, ho pensato che fosse importante mettere a disposizione lo spazio del blog per una vera e Propria Emergenza. Ho raccolto il seme che tu hai gettato con grande sensibilita`

  2. Lidia è l’ennesima dimostrazione dell’indifferenza, indifferenza che offende ogni donna, ogni essere umano bisognoso. Avrei voluto finisse diversamente, che questa volta la vittima fosse stata lui, avrei voluto ogni volta che i ruoli si invertissero per una sorta di decisione dall’alto. Invece la realtà pare sempre rivoltarsi contro i deboli.
    Questo tuo post fa molto riflettere e mette in luce l’agghiacciante realtà, Noi donne associate al binomio vittime-deboli, ci stiamo abituando che solo questa possa essere il destino, invece imparare a scegliere bene i compagni con cui dividere la vita ce la salverebbe.

    1. Quello che dici è verissimo, le donne devono imparare a scegliere gli uomini giusti. Il periodo prematrimoniale o di preconvivenza diventa un banco di prova importante in cui capire se è possibile vivere un rapporto sano e paritario. È difficile che un uomo con comportamenti violenti cambi del tutto e noi donne dobbiamo smetterla di essere crocerossine. Grazie per il passaggio,Nadia☺

    1. L’assistente sociale credo abbia privilegiato la sicurezza dei bambini considerandola prioritaria e poi abbia aiutato la donna ad allontanarsi. Ma prima ci sono stati anni di silenzio e di indifferenza da parte di un’intera comunità 🙁

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