L’arte di perdere

Sera di Luglio. Zapping di sottofondo a lettura di un e-book sulla scrittura creativa,  appunti per un post, e cinque, ahimè, solo cinque righe di un’eterna revisione. È un’esagerazione, lo so bene, ma se non faccio più cose assieme non riesco a concentrarmi.

Il primo piano sull’incarnato irlandese di Julianne Moore mi distoglie dalla frenetica attività di letto scrittura. Sarà che la considero l’attrice più espressiva di Hollywood e che con l’interpretazione in questione ha vinto la statuetta d’oro, sarà che  a una certa ora sul mio monitor iniziano a passeggiare fastidiosi animaletti neri, decido di chiudere il PC e mi immergo in uno dei film più struggenti di sempre: Still Alice.

Riassunto- spoiler della trama

Alice Howard, affermata linguista della Columbia University, alle soglie dei cinquant’anni avverte strani disturbi di memoria che la convincono a fare degli accertamenti. Scopre così di soffrire di Alzheimer di matrice genetica a esordio precoce. Da lì in poi assisteremo al decadimento cognitivo di Alice sotto gli occhi impotenti dei tre figli e del marito. Da mente eccelsa e pilastro della famiglia, si trasforma in una donna incredula di fronte allo sfaldamento della propria dignità. Dopo un tentativo non riuscito di farla finita, diventa prigioniera di una gabbia che le impedisce di esprimere un qualsivoglia pensiero. Nonostante l’oblio in cui è caduta, Alice c’è ancora. Lo si comprende da quell’unica parola che riesce a pronunciare e che compendia alla perfezione il significato del libro che la figlia si ostina a leggerle: Amore.

Perché è un grande film

Non è un film strappalacrime. Di solito le storie che affrontano le tematiche legate alla malattia scadono spesso nel patetismo lacrimevole. Still Alice no. Qui c’è la tristezza, la perdita, lo smarrimento ma la storia non deflette mai sotto l’irrazionalità del male.

Il punto di vista per tutta la storia è quello di Alice, sia quando è all’apice della carriera universitaria che nei terribili vuoti di memoria, fino al decadimento cognitivo totale. La cinepresa si insinua nella sua mente durante tutto il declino psicofisico e l’effetto è dirompente: un viaggio nel cervello umano che lentamente si spegne.

Still Alice è una storia di amore e di rispetto, che va oltre l’apparenza del male. Anche quando la protagonista sembra persa in una dimensione irraggiungibile,  il marito e i figli non dimenticano chi è stata e tentano ogni espediente per mantenere un contatto con lei.

L’arte di perdere

Nel cuore del film, Alice, ricorrendo a una citazione letteraria, parla in pubblico della sua malattia con un discorso che è una miniera di riflessioni:

Buongiorno. È un onore essere qui oggi. La poetessa Elisabeth Bishop una volta ha scritto “l’arte di perdere non è difficile da imparare”. Così tante cose sembrano pervase dall’intenzione di essere perdute che la loro perdita non è un disastro. Non sono una poetessa. Sono una persona che convive con l’esordio precoce dell’Alzehimer e, in quanto tale, mi trovo ad apprendere l’arte del perdere ogni giorno. Perdo l’orientamento, perdo degli oggetti, perdo il sonno ma soprattutto perdo i ricordi. In tutta la mia vita ho accumulato una massa di ricordi che sono diventati in un certo senso più preziosi tra tutti i miei averi. La sera in cui ho conosciuto mio marito, la prima volta in cui ho tenuto tra le mani un libro, la nascita dei miei figli, le amicizie che ho fatto, i viaggi per il mondo. Tutto quello che ho accumulato nella vita, tutto quello per cui ho lavorato con tanto impegno ora inesorabilmente mi viene strappato via. Come potete immaginare o anche come sapete questo è atroce. Ma c’è ancora di peggio. Chi ci può più prendere sul serio quando siamo così distanti da quello che eravamo? Il nostro strano comportamento e il nostro parlare incespicante cambia la percezione che gli altri hanno di noi e la nostra percezione di noi stessi. Noi diventiamo ridicoli, incapaci, comici ma non è questo che noi siamo. Questa è la nostra malattia e come qualunque malattia ha una causa, ha un suo progredire e potrebbe avere una cura. Il mio più grande desiderio è che i miei figli, i nostri figli, la prossima generazione non debba affrontare quello che sto affrontando. Ma tornando all’oggi sono ancora viva. So di essere viva. Ho delle persone che amo profondamente, ho delle cose che voglio fare nella vita. Me la prendo con me stessa perché non riesco a ricordarmi le cose ma ho ancora dei momenti nella giornata di pura allegria, di gioia e vi prego non pensate che io stia solo soffrendo. Seppure sto soffrendo io mi sto battendo sto lottando per restare parte della realtà, per restare in contatto con quella che ero una volta. Così “vivi il momento” è quello che mi dico. È davvero tutto quello che posso fare vivere il momento è non massacrarmi più del necessario per imparare l’arte di perdere. Una cosa che cercherò di conservare è il ricordo di aver parlato qui oggi. Se ne andrà lo so che se ne andrà. Potrebbe essere già sparito domani. Ma è talmente importante per me parlare qui oggi come la mia vecchia ambiziosa me stessa che era tanto affascinata dalla comunicazione. Grazie di questa opportunità. Ha un importanza enorme per me. Grazie.

La filosofia dell’arte di perdere è in controtendenza con la mentalità dell’accumulo della società attuale. La perdita in questo caso non è una resa, se mai la conquista di un presente liberato a poco a poco dalla zavorra del tutto a qualsiasi costo.

Anch’io devo imparare l’arte di perdere e lo faccio proprio partendo dal blog. Dopo qualche ripensamento di troppo ho deciso di chiudere per il mese di agosto, imparando a perdere seguito e visite. 

Vi lascio al meritato riposo con questa riflessione e vi auguro che il mese di agosto anche per voi sia libero da zavorre e ricco di attimi da cogliere.

Arrivederci a settembre, cari amici!

 

 

 

 

 

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

12 Risposte a “L’arte di perdere”

  1. Purtroppo la vita stessa è un “vuoto a perdere”, nel senso che noi possiamo (e dobbiamo) riempirlo delle nostre esperienze, però arriva per tutti il momento di renderlo, contenuto compreso.
    Tutto ciò che abbiamo è temporaneo.

    1. E forse è proprio per questo che dovremmo goderlo appieno, liberandoci di ciò che appesantisce. Grazie Ariano per la tua riflessione, buone vacanze!

  2. Ciao Rosalia, avevo dimenticato questo splendido film e il messaggio che porta. Io credo che al di là della malattia, chiunque di noi possa trovarsi persa come Alice. Quando le cose cui siamo abituate non ci sono più, quando sentiamo franare la vita intorno a noi, siamo Alice e impariamo a perdere, Ma senza massacrarci.
    Nemmeno una passione autentica e speciale come un blog o un romanzo un po’ duro da revisionare debbono massacrarci.
    Ti auguro una splendida estate, ci rivediamo a settembre. Ti aspetto

  3. Bellissimo il film che citi, la sua visione mi ha molto colpito forse proprio perché va ben oltre il racconto della sola malattia. Visto che state chiudendo tutti per meritate ferie, che dire se non buon riposo? A presto.

  4. Non ho visto il film, la malattia che ti costringe a “perdere” ogni giorno qualcosa è una di quelle che mi mette più paura.
    Teniamoci la perdita delle piccole cose, la perdita di tempo, per sorridere un pò, la perdita di calma con il caldo che non cessa, anche la perdita di lettori durante l’estate. Quella è solo temporanea: va in pausa il blog, si mettono in modalità ferie anche i lettori.
    Buone vacanze, Rosalia. Ci rivediamo a settembre.

    1. Certo, l’arte di perdere riguarda ciò che talvolta crediamo necessario e non lo è affatto. Grazie Marina, a presto

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