La riscrittura del romanzo

Giorgio Kienerk 'Sotto la lampada'
Giorgio Kienerk ‘Sotto la lampada’

Nell’immaginario collettivo lo scrittore è rappresentato chino sulla tastiera in preda al furore creativo, mentre tenta di contenere la piena provocata dal fiume dell’estro. Un immaginario nutrito anche dal cinema, in cui il personaggio scrittore spesso è un invasato che batte sui tasti della malcapitata macchina da scrivere. Una rappresentazione mitologica insomma, che ha poco a vedere con la realtà.

«La scrittura è una ricerca continua, le parole non hanno solo un significato ma anche un suono, la loro posizione nel testo non è mai casuale per me ed è proprio per questo modo di calibrare le parole che impiego tanto tempo a scrivere i miei libri» dice Daniel Pennac.

Nell’arte dello scrivere la spontaneità è solo una facciata. Scrivere non è mai un atto spontaneo, ma sottintende  una ricerca che costa sangue e lacrime. Tanto più scrivere un libro, cioè un’opera destinata alla pubblicazione e a  dei potenziali lettori. In quel caso il verbo scrivere è improprio, in realtà si dovrebbe parlare di riscrivere e ancora riscrivere. Qualcuno, a questo punto, storcerà il naso pensando alla riscrittura come noiosa formalità che poco ha a che fare con la creatività, o addirittura una sorta di fallimento. Sbagliato.

In primo luogo, la riscrittura è l’insieme di tutte le stesure e di tutti gli interventi mirati a rendere migliore il nostro testo. Se con la scrittura l’idea che avevamo in mente si manifesta, con la riscrittura prende esattamente la forma che volevamo, assume un’identità precisa e acquisisce quella concretezza che la rende efficace. A chi obietta che è la prima stesura quella fondamentale, forse dovrebbe guardare il proprio lavoro con maggiore distacco e lo vedrebbe così com’è: sfocato se non addirittura incoerente, animato da personaggi non del tutto caratterizzati e scarso di armonia tra le diverse parti.

Avete mai provato quel senso di incompiuto che genera frustrazione alla fine della prima stesura? È il segnale che la mano ci ha portato in una direzione diversa dalle intenzioni iniziali, un sentimento di rifiuto per quello che abbiamo scritto ci sovrasta. Ci troviamo a un bivio: o ripudiamo il manoscritto dedicandoci a qualcos’altro, maturando il classico blocco, o lo riscriviamo. La cosa più sensata è imboccare la seconda via;  osservando  il nostro testo con il dovuto distacco, ci accorgeremmo che non è tutto da buttare,  se mai da rivedere. Dovremmo concepire la prima stesura del testo come una fase embrionale, come un pezzo di materia in mano allo scultore che abbia bisogno di essere modellato, levigato, limato per prendere la forma che avevamo progettato. Proviamo a combattere la frustrazione con la riscrittura, utilizzandola come uno strumento potente in nostro possesso.

Le fasi della riscrittura

Prima fase: la pausa. Lasciamo intercorrere tra prima stesura e la riscrittura un mese o due. Non si può definire il limite di tempo necessario per ottenere il giusto distacco dall’opera, è un fattore soggettivo. Ricordiamo solo che se facciamo passare più tempo del dovuto c’è il rischio che la nostra creatura ci risulti estranea. Nel frattempo, dedichiamoci ad altro, leggiamo o progettiamo un’altra storia.

Seconda fase: la riflessione. Nel periodo di pausa è salutare riposare la mente, dopo lo sforzo che ha prodotto, senza però allontanarci troppo dalla scrittura. Scrivere è un’attività che si nutre di esercizio: più scriviamo, meglio lo facciamo. Mentre ci approssimiamo alla terza fase, cominciamo una seria riflessione sul testo che abbiamo scritto. Ripensiamo alla trama, ai personaggi, al punto di vista e al narratore che abbiamo scelto. Domandiamoci se le scelte operate siano quelle giuste, ricordando di progettare  le eventuali alternative.

Terza fase: la lettura.Trascorso il lasso di tempo necessario, torniamo sull’opera con una lettura approfondita. Di solito con la rilettura, se il tempo della pausa è stato calibrato bene, quelle, che al momento ci sembravano delle trovate geniali, ci appariranno ben poca cosa e faremo fatica a riconoscere come nostro quello che abbiamo sotto gli occhi. Molti, rileggendo, operano anche la correzione minuta di sviste ortografiche e perfezionano la scelta dei vocaboli, operando sul campo la revisione. Altri invece prendono appunti ed evidenziano quello che è da cambiare o da togliere senza pietà. L’importante è che la lettura non sia sterile ma stimoli il nostro senso critico in vista della seconda stesura.

Quarta fase: la riscrittura. Siamo giunti finalmente all’apice del processo, che in quanto ad adrenalina e creatività non scherza. Siamo di nuovo chini sulla nostra opera, ma con una consapevolezza nuova: sappiamo ciò che non va,  cosa dobbiamo migliorare, quali sono gli aspetti da modificare e di quali parti sbarazzarci definitivamente.Ciò che ritenevamo  un’ incombenza noiosa, si rivelerà presto un lavoro artigianale denso di soddisfazioni. Il testo, forgiato con pazienza e amore, ci apparterrà ancora di più, assumendo, man mano che riscriviamo, le sembianze che avevamo progettato.

La seconda stesura potrebbe non bastare; talvolta il romanzo ha bisogno di ulteriori interventi di riscrittura. Non ci resta che ricominciare il processo dalla prima fase. Scrivere in fondo è un tentativo di approssimazione tra l’idea iniziale e la parola che serve per esprimerla. Questo tentativo potrebbe non portare mai all’obiettivo. Dopo qualche stesura, però, se il lavoro prodotto risulta prossimo alle intenzioni, potremmo deciderci di lasciar andare la  storia così com’è. È il momento di scrivere la parola fine. Eccedere con le stesure rischia di diventare perfezionismo, ma questa è un’altra storia che approfondiremo presto.

Cosa ne pensate? Come organizzate la riscrittura? Quante stesure scrivete del vostro romanzo prima di scrivere la parola fine?

 

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

6 Risposte a “La riscrittura del romanzo”

  1. Ciao Rosalia,
    decidere di buttarsi in un’operazione di riscrittura non è facile, sia perché richiede una messa in discussione di quello che si è fatto, sia perché è proprio un lavoro enorme. Io ne so qualcosa perché sono ben due i romanzi che ho riscritto. Concordo con te che è un lavoro molto più creativo di quanto non sembri e che è importante far riposare un po’ la prima stesura.
    A questo punto non posso fare a meno di chiedermi se sia possibile evitare questo grosso lavoro, man mano che si entra un po’ più nei meccanismi delle storia. Spero di sì e di riuscire nel prossimo romanzo a imbroccare subito la strada giusta 🙂

  2. Credo che non potremo mai sottrarci alla riscrittura. Siamo in buona
    compagnia, molti grandi lo fanno. King di regola fa una bozza e due
    stesure di ogni sua opera 🙂

  3. La fine della prima stesura per me è una festa, perciò non mi riconosco molto nell’insoddisfazione di cui parli. Il sacro furore lo vivo proprio durante la prima stesura, reso possibile dal lavoro preliminare. Quando affronto la revisione, dopo la pausa passo subito alla lettura. Mi serve avere la mente il più possibile “pulita”, da lettore esterno, e se ci riflettessi prima la inquinerei. Dopo inizio a individuare i problemi e a metterci mano per risolverli. Riscritture consistenti non mi sono mai capitate, per ora; capitoli sì, ma non l’intera opera. Mi terrorizza sentire che alcuni scrittori sono abituati a tre/quattro stesure o più! Non so se ce la farei.

  4. Forse, Grazia, perché il lavoro che fai a monte è così preciso che
    ti evita di sbagliare in seguito. L’insoddisfazione di cui parlo non
    arriva sempre, mai quando scrivo; solo al termine quando
    mi rendo conto che avrei potuto fare meglio. Per tanti è così.
    Beati coloro che possono contare su precisione ed efficacia da subito 🙂
    Non nego che la riscrittura sia faticosa, non la demonizzo, però,
    anch’essa mi regala molte gioie. ^_^

  5. Articolo molto interessante, che sicuramente mi sarà utile quando arriverò alla fine della prima stesura del mio romanzo, che come forse già sai è il primo.
    L’errore che ho fatto, secondo me, è stato quello di dilungarmi un po’ troppo, rileggere e correggere già in fase di prima stesura, con il risultato che in quasi un anno di lavoro, considerando anche tutti gli impegni che ho, l’opera è andata avanti pochissimo. Avevo anche progettato poco, quindi molto dovrà essere tagliato. Tuttavia questo periodo mi è servito per imparare molto, affinare lo stile e adottare un metodo di lavoro, che consente anche una pianificazione un po’ più dettagliata. Ora sono piuttosto serena, e sto andando avanti un po’ più spedita. 🙂

  6. Grazie Chiara per aver condiviso la tua esperienza.
    Mi arricchisce molto leggere come organizzate il
    vostro lavoro e, soprattutto, mi fa sentire meno sola
    in ciò che è un percorso di solitudine. Sono contenta
    che tu abbia trovato un’organizzazione che ti soddisfa.
    In fondo, i tempi, il lavoro, le modalità… molto nella scrittura
    è soggettivo. :))

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