Vi è mai capitato di essere nel guado di una “lettura mattone” e di aver saltato a piè pari brani di descrizione e di infodump (eccesso di informazioni), e a un tratto riaccendersi di nuovo la spia dell’interesse?
Allora è probabile che siate arrivati al dialogo.
Che cos’è il dialogo?
Il dialogo è la sequenza del racconto in cui i personaggi interloquiscono tra loro. Esso è introdotto da una specifica punteggiatura e prevede l’uso del presente.
Proprio per queste caratteristiche è ben visibile e individuabile nel testo, tanto da costituire un’oasi di relax per il lettore, il quale vi soggiorna volentieri soprattutto al termine di pedanti sequenze descrittive e narrative.
In virtù di certe particolari qualità, il dialogo è molto consigliato nella scrittura creativa contemporanea, quella denominata show don’t tell, come dicevo nel post dedicato; grazie alle sequenze dialogiche il lettore è letteralmente catapultato nella storia di cui diventa spettatore privilegiato.
Quali tecniche usare?
La sequenza dialogica presenta numerose insidie, per evitarle si consiglia di mettere in pratica alcuni accorgimenti:
- Immaginare che il dialogo in questione sia formulato realmente da persone vere, come me e voi. Domandarsi come parlerebbero tra loro, date le circostanze che abbiamo predisposto nella storia.
- Visualizzare la scena dialogica, viverla nella mente e poi riportarla per scritto
- Drammatizzare le battute scritte a voce alta davanti allo specchio
- Disfarsene se risultano artefatte: meglio un dialogo in meno, che uno fasullo
- Mettere le parole giuste in bocca ad ogni personaggio: ai bambini parole da bambino, a un contadino non una citazione di Platone.
- Ricordarsi che le persone vere con un livello culturale elevato nel gergo familiare non usano latinismi
- Tenere presente che gli adolescenti nella vita reale usano lo slang giovanile
- Creare battute concise e brevi: tre righe per personaggio è inverosimile.
- Evitare il turpiloquio se lo si detesta, piuttosto che edulcorarlo: cavoletti di Bruxelles al posto di c… . No, è ridicolo.
- Privilegiare il verbo dire come introduzione al dialogo, i sinonimi solo in casi eccezionali
- Usare caporali o linea lunga (caratteri speciali) e non le virgolette che servono per i pensieri e per le citazioni.
Cosa evitare nei dialoghi?
Le parole dei personaggi sono molto utili a far galoppare la storia e con pochi accorgimenti possiamo servircene per diluire tutte le informazioni sui personaggi. Purtroppo questa opportunità si dissolve se faccio i seguenti errori.
- Infarcisco il dialogo di troppe informazioni tutte in una volta: che lavoro fa, dove vive e che esperienze di vita ha il protagonista.
- Non tengo conto della particolare psicologia di un personaggio e lo faccio parlare in modo incoerente rispetto alla storia: se è uno psicopatico, non può pronunciare a un tratto discorsi dotati di logicità e saggezza.
- Scrivo un dialogo che non abbia uno scopo preciso in un momento particolare della storia, quindi un dialogo inutile.
- Uso il registro sbagliato nelle diverse circostanze: registro familiare in una conferenza e registro aulico in una cena informale tra amici
- Scrivo il dialogo in corsivo: appesantisce la lettura e annoia il lettore
- Faccio parlare i personaggi come se il lettore fosse lì a guardarli: si esprimeranno in modo innaturale e inverosimile
- Esagero con punti interrogativi e esclamativi (uno solo per volta) e con i puntini di sospensione (con moderazione e sempre e solo tre)
Per concludere
I consigli che ho scritto, e di cui per prima devo tener conto quando scrivo, hanno lo scopo di mettere in luce le tecniche e le insidie del dialogo.
Come ho già detto, le sequenze dialogiche sono la luce nel buio delle parole, un’oasi di pace e di relax nel deserto della narrazione; talvolta possono addirittura convincerci a proseguire una lettura che avremmo interrotto. Purché siano veri, stimolanti e efficaci. Se no diventano fuffa e vanificano ogni sforzo.
Siete d’accordo? Avete qualche altro suggerimento da dare? Lasciate pure il vostro contributo, ci sarà utile.