“Scrivo romanzi per uscire dal mondo disattento e irriflessivo…” intervista

Virtual14-Shop-Profili-Aziendali

 

        Il giornalista e scrittore Emanuele Gagliardi  risponde alle domande di Scrivere la vita e ci parla del percorso professionale che dalla politica internazionale lo ha visto approdare alla narrativa. Lo scrittore de La Pavoncella, edita da EEE, il “thriller – noir – vintage” che ha ricevuto diversi riconoscimenti, adora gli anni ’70, è solito scrivere la prima stesura delle sue opere con la mitica Olivetti M40 del 1941 e si serve della scrittura per “uscire dal mondo”… Ma seguite con me le sue interessanti riflessioni.

Gagliardi-4

Grazie Dottor Gagliardi per aver accettato di rispondere alle domande di Scrivere la vita, è un onore per me ospitarla.

L’onore è tutto mio!

D- Giornalista, in Rai dal 1999, esperto di politica internazionale, collabora con diverse testate nazionali.  È approdato, solo di recente, alla narrativa. Cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo?

      L’amore per la lettura e per la scrittura mi accompagna dai tempi della scuola. Fra i generi preferiti c’è sempre stato il giallo che negli anni Settanta e Ottanta viveva pure una fortunata stagione televisiva. Sceneggiati realizzati dalla Rai e oggi divenuti cult – per citarne solo alcuni: Il segno del comando, Ho incontrato un’ombra, Ritratto di donna velata, Dov’è Anna?- ma pure più classici polizieschi come il Maigret interpretato da Gino Cervi o il Tenente Sheridan impersonato da Ubaldo Lay hanno segnato indelebilmente il mio immaginario. Il progressivo declino che affligge i generi letterari e non solo, la cultura tout court è inghiottita dalla spirale dell’usa e getta proprio della società hi-tech distratta e superficiale, mi ha spinto a far qualcosa per non subire la scomparsa di un tipo di letteratura gialla a cui ero e sono visceralmente legato! Aperto lo scrigno dei ricordi, che costituiscono la fonte primaria della mia produzione, mi son messo a scrivere romanzi di ambientazione rigorosamente… analogica.

D- La sua prima pubblicazione, La maschera, è del 2011, un esordio che ha dato il via a una nutrita sequenza di racconti e romanzi. Prima di allora aveva mai tentato questa strada?

       No. In precedenza avevo soltanto scritto saggi e articoli di taglio storico. Sono uno studioso di storia e politica contemporanea dell’Estremo Oriente. Avevo nel cassetto, come si suol dire, tre romanzi e l’occasione s’è presentata con il concorso letterario NarreRai indetto da Rai Eri, la società editrice consociata della Rai, per i dipendenti dell’azienda radiotelevisiva. Il mio thriller La maschera è stato premiato dalla giuria e pubblicato. È stato un forte stimolo a continuare…

D- Nel 2014 il romanzo La Pavoncella vince il concorso di Edizioni Esordienti E-book e viene pubblicato. Un thriller-noir-vintage, come ama definirlo. Ci spieghi perché vintage?

      Vintage perché tutti i miei romanzi sono ambientati negli anni Sessanta o Settanta. Il motivo di questa scelta, a cui ho accennato rispondendo alla prima domanda, è essenzialmente la volontà di rituffarmi negli amati anni dell’infanzia e della prima giovinezza.

la pavoncellaD- Un titolo enigmatico che affascina, perché questa scelta?

     Non posso rivelarlo, rischierei di sciupare la suspense! L’autore di un giallo deve agire come l’assassino: lasciare meno tracce possibili. Posso solo dire che il riferimento alla pavoncella è duplice: anzitutto quello squisitamente ornitologico, perché il commissario Umberto Soccodato, che conduce l’inchiesta, assimila uno dei personaggi chiave della vicenda a questo sdegnoso uccelletto comunemente considerato a torto parente stretto del pavone; poi c’è il richiamo ad una favoletta, narrata pressappoco a metà romanzo, inventata per una bambina che negli anni di guerra era terrorizzata dal suono delle sirene dell’allarme aereo.

D- L’ambientazione è collocata negli anni Settanta, un’epoca da lei molto amata. Sono gli anni della sua infanzia, ma sono anche anni molto difficili per l’Italia, gli anni di piombo. Perché predilige quell’epoca?

       È una domanda che mi hanno posta spesso perché, mi rendo conto, quegli anni sono stati davvero drammatici per il nostro Paese. Intendo rispondere con franchezza, perciò chiedo venia per quel tanto di egocentrismo che può trapelare dalla risposta e che spero non sia scambiato per insensibilità: scrivo romanzi per “uscire dal mondo”, dal mondo ipertecnologico, asservito al marketing e all’apparenza, disattento, frettoloso, irriflessivo che non mi piace. Poiché, non per pessimismo ma per realismo, credo che il futuro non prometta inversioni di tendenza, per “uscire” devo inevitabilmente tornare al passato: il mio soleggiato, amniotico passato di bambino e giovanetto.

D- Il romanzo La Pavoncella tratta un tema di cronaca, la morte del regista Pasolini e l’ipotesi che dietro la sua morte ci sia molto di più dello squallido delitto di Pelosi, il reo confesso. Quanto c’è di vero nelle ipotesi che segue il suo commissario Saccodato?

      Il delitto Pasolini è il tipico episodio di cronaca nera su cui non si finisce mai di fare dietrologia, fantapolitica, complottismo… Lo stesso Pino Pelosi, il “ragazzo di vita” diciassettenne all’epoca dei fatti e ad oggi unico reo confesso, scontata la condanna a 9 anni e 7 mesi per omicidio volontario, ha promosso la fioritura di congetture fornendo nel tempo diverse versioni di quanto accadde all’Idroscalo di Ostia quella notte fra il 1° e il 2 novembre 1975. Le ipotesi citate nel mio romanzo sono reali, ancorché tutte da provare. Sono quelle emerse all’indomani dell’omicidio e soprattutto dopo la pubblicazione postuma del romanzo-inchiesta Petrolio (Einaudi, 1992), opera incompiuta di 522 pagine – dovevano essere oltre duemila nelle intenzioni di Pasolini – scandite in 133 Appunti numerati progressivamente, a cui lo scrittore ha lavorato dal 1972 alla morte. Protagonista del romanzo è Carlo, ingegnere catto-comunista della borghesia torinese che lavora all’ENI, sdoppiato in Carlo di Polis, angelico e sociale, e Carlo di Tetis, diabolico e sensuale. Apparentemente le due metà del personaggio conducono vite differenti, ma di fatto spesso si invertono i ruoli fino a risultare come una stessa persona, simbolo di contraddittorietà. Dietro suggestioni legate alla commedia dantesca, allegorie e strutture di carattere mitologico, c’è la critica feroce e disperata al neocapitalismo del boom economico e alla politica dominata dall’establishment democristiano i cui volti noti sono direttamente indicati negli appunti (anche manoscritti) o sono comunque facilmente riconoscibili. Questi riferimenti, insieme con il mistero del capitolo scomparso, l’Appunto 21 intitolato Lampi sull’ENI in cui Pasolini avrebbe descritto vicende riferite a Enrico Mattei (nel romanzo: Bonocore) e al suo vice Eugenio Cefis (nel romanzo: Troya) all’epoca della Resistenza, hanno alimentato l’ipotesi che Pasolini possa esser stato messo a tacere prima che le sue ricerche scoperchiassero il proverbiale vaso di Pandora.

D- Saccodato è il personaggio più importante, una bella figura. A chi si è ispirato per crearlo?

         Il personaggio è dichiaratamente ispirato al Maigret di Simenon, magistralmente reso nella versione televisiva nostrana da Gino Cervi. Soccodato cerca di imitarlo fin nei gesti e nel tono di voce, oltre che fumando la pipa. Per il resto, è in buona misura un mio alter-ego, ragion per cui La ringrazio per quel “bella figura” con cui lo ha qualificato nella domanda. Cinquantenne non troppo alto, cicciotto, calvo, con gli occhiali, romano caustico e disincantato, serio ma non serioso, buona forchetta, non è laureato, benché tutti lo chiamino convenzionalmente dottore, e il grado se l’è conquistato sul campo partendo dalla bassa forza… decisamente un antieroe che deve la sua carriera al fiuto investigativo, a tanta pazienza, all’umiltà e alle imbeccate, anche in questo è maigrettiano, della moglie casalinga. Sono convinto assertore della “normalità”, che a mio avviso non viene mai benedetta abbastanza.

D- Gli scrittori che si cimentano nel giallo sono considerati degli intenditori, come se il genere non fosse accessibile a tutti. È davvero così?

        Non credo che il giallo sia accessibile ai soli intenditori. Direi piuttosto che, come per tutti i generi, c’è chi lo ama e chi no. Esiste poi la erronea tendenza a considerarlo un sottogenere, una produzione letteraria di secondaria importanza destinata alla fruizione immediata, poco al di sopra del fumetto. Certe volte il giudizio cambia se al posto di giallo si usa il termine thriller o noir, perché gli italiani, quando si parla di cultura e non di gastronomia, spesso hanno il vizio di considerare migliore tutto ciò che viene da oltre frontiera. Molti giallisti, ad esempio, fino a tutti gli anni Cinquanta erano tenuti a firmare con pseudonimi anglosassoni o ad ambientare le trame in Paesi come Stati Uniti, Inghilterra, Francia, ritenuti più appropriati e quindi “vendibili”. La svolta è stata inaugurata da Giorgio Scerbanenco che negli anni ’60 ha elevato il giallo italiano allo stesso livello, in molti casi direi superandolo, degli inglesi, degli americani e dei francesi. I suoi Venere privata, Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano al sabato, la cosiddetta quadrilogia di Duca Lamberti, sono capolavori ineguagliabili anche nelle notevoli trasposizioni cinematografiche. Anche Scerbanenco, che ha spaziato in vari campi della narrativa, dal western alla fantascienza, al romanzo rosa, ha ambientato però negli Stati Uniti i sui primi gialli scritti fra il 1940 e il 1943, stranamente in piena epoca di enfasi autarchica!

D- Per scrivere i suoi romanzi si affida al lavoro di preparazione: scalette, schemi, schede dei personaggi… O lascia spazio all’improvvisazione della creatività? Ci racconti qualche trucco.

         Solo la redazione finale dei miei romanzi è scritta con il PC, perché gli editori vogliono inevitabilmente un file! Tutto il lavoro precedente, – documentazione, appunti, prima stesura… – visto che scrivere è per me anzitutto un piacere, lo faccio con una Olivetti M40 del 1941: 16 chili di ferro nero con decalcomanie dorate, tasti tondi a fondo bianco e nastro nero/rosso. Con questa macchina compilo pure delle schede, ordinate alfabeticamente in un apposito classificatore metallico, con le caratteristiche di individui in cui mi imbatto, casualmente o meno, e che colpiscono la mia immaginazione: tratti somatici, lineamenti caratteriali (reali o presunti), nevrosi, idiosincrasie, tic… In alcuni casi alla scheda aggiungo disegni a matita o a china che mi permettono di fissare anche visivamente le peculiarità dei soggetti. Questi materiali sono la risorsa a cui attingo per costruire i personaggi, prendendo un pezzetto qua, un pezzetto là e cucendo poi il tutto con elementi di fantasia. Scalette non ne faccio. Parto da un’idea iniziale piuttosto vaga, quasi sempre suscitata da una memoria che può essere visiva ma pure solo uditiva o olfattiva, e lascio all’improvvisazione il compito di comporre la storia che è quasi sempre funzionale all’evocazione del ricordo. Ottimo ausilio lo trovo nella musica, il giradischi con i dischi di vinile è il secondo compagno di scrittura dopo la fedele Olivetti, o nelle pubblicazioni d’epoca – riviste, rotocalchi, giornali – che permettono di ricostruire un periodo con precisione anche sotto gli aspetti della moda, dell’arredamento, delle trasmissioni radiotelevisive, del cinema, del linguaggio…

D- Cosa consiglia ai lettori di Scrivere la vita che aspirano a pubblicare? Quali possono essere le strade da perseguire?

      Anzitutto consiglio di tentare sempre e desistere mai. Un’ottima possibilità, che ho sperimentata personalmente, è quella offerta dai concorsi letterari per inediti che prevedano come premio la pubblicazione del manoscritto e la diffusione del libro. Si tratta quasi sempre di piccole realtà editoriali che però sono spesso le più attente e tenaci. Le nuove piattaforme di promozione e di vendita on-line, inoltre, permettono di raggiungere agevolmente il vasto pubblico. Anche i social network, lo ammetto nonostante una mia sostanziale tecnofobia, sono un ottimo veicolo promozionale perché si possono raggiungere senza difficoltà gruppi interessati ai vari generi letterari.

Grazie ancora per la disponibilità.

Grazie a Lei e agli amici di Scrivere la vita.

Views All Time
Views All Time
Views Today
Views Today
Avatar for Maura Puccini

Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.