“Salsedine” racconto

libro e mondo

Il vecchio Kashim solcava fiero le onde. Era stato tirato a lucido per l’occasione e nascondeva i trent’anni e passa di navigazione. A poppa, Austin con i capelli bruciati dalla salsedine e dal vento osservò la coppia di gabbiani che banchettava. Lo stridio acuto lo investì.

Aveva sognato quel viaggio ogni minuto del lungo mese precedente. Lo aveva programmato fin nei minimi particolari. A tre giorni di navigazione dalla Bay of Island, ben lontano dalla possibilità di tornare indietro, il giovane comprese però tutta l’enormità dell’impresa.

L’onda montava e gli schizzi della schiuma gli lambirono il volto.

Una balenottera azzurra agitò la coda e con un’evoluzione rapida s’immerse a qualche metro dall’imbarcazione, contribuendo a creare un’onda abbastanza sostenuta.

Il Kashim non era tipo da intimorirsi per così poco, ne aveva passate di belle in quei trent’anni per mare.

Austin lasciò la poppa e si diresse al timone, tentò di virare per prendere l’onda di prua, ma la timoniera non diede segni di vita. Una sensazione viscida lo avvolsee e s’insinuò dalla pelle al cuore.

La scatola del meccanismo era sigillata, Austin la aprì a fatica e scoprì che dei sei bulloni, solo due sostenevano il meccanismo. Maledisse la  superficialità con aveva  verificato la manutenzione.

Recuperò dalla scorta personale gli altri bulloni che mancavano, li montò e li strinse con la forza dei venticinque anni appena compiuti, mentre rigoli di sudore gli scendevano dalla fronte. L’onda intanto si schiantò sul fianco e spostò il boma con violenza. Austin riuscì a schivare il movimento che avrebbe potuto decapitarlo.

Kashim mugghiò e si assestò con un tonfo sordo. Austin potè respirare.

Il mare rappresentava per lui l’elemento vitale per eccellenza. Nient’altro riempiva la sua solitudine come quella spaventosa distesa acquea.

Chiuse gli occhi e  ritornò bambino quando navigava con il padre sulla sua prima barca, un optimst nuovo di zecca. La passione della barca gliela aveva trasmessa lui, l’uomo migliore che Austin avesse conosciuto fino ad allora. Lo aveva visto andar via per sempre con la silenziosa dignità dei grandi. L’eredità che gli aveva lasciato era l’amore incondizionato per la libertà, che si materializzava in quella vecchia barca. Glielo aveva promesso il giorno prima della sepoltura. Sarebbe arrivato alle Figi, come avevano progettato un mese prima della sua morte, da solo. La rabbia di sapersi diviso per sempre dalla stella polare, diventò azione.

Il progetto aveva preso vita in poco tempo, senza particolari intoppi.

Il vento e l’onda in crescita lo tenevano in stato di allerta, l’adrenalina entrata in circolo per via dei bulloni, lo aiutava a mantenere la concentrazione giusta nella scelta delle manovre.

Suo padre sarebbe stato fiero di lui .

Intanto il freddo neozelandese, cinico, lo faceva soffrire. Austin legò una corda al timone e decise di manovrare a distanza sdraiato al sole per evitare l’assiderazione.

Un rollio sordo lo avvisò che l’onda stava montando ancora sotto la spinta decisa del vento. La vela tesa spingeva la prua a tagliare i flutti come una lama il burro. Ma il cielo non prometteva niente di buono e la burrasca si annunciò con gocce intermittenti sul  viso,

Pensò che la riparazione al volo della timoniera di poco prima fosse stata provvidenziale. Ringraziò la balenottera e la sua impertinenza, lo avevano salvato da morte sicura. Quando il mare prendeva certe sembianze, la barca doveva essere al meglio.

Si assicurò che le prese a mare fossero chiuse. Fissò il boccaporto del sottocoperta in modo che non si aprisse sul più bello. Ammainò la vela centrale e sullo stallo di trinchetta issò la vela di tempesta per riequilibrare la barca.

Con la forza di migliaia di bisonti impazziti, le onde a forza sette colpirono la barca in tutte le direzioni.

Austin sentì il vecchio Kashim mugghiare di dolore, ma lottare strenuamente. Lo scroscio inclemente della pioggia sferzava il viso del giovane, che aveva indossato il pastrano delle grandi occasioni. Bagnarsi in quel clima portava all’assideramento. Sentì la forza venirgli meno e il pensiero corse al padre. Da lassù lo stava guardando, ne era certo. ” Aiutami papà, il mare è troppo grosso ora per le mie forze ” pregò Austin mentre era intento a portare la barca a 45 gradi dalla provenienza delle onde di maggior spinta. L’impresa era tenere il Kashim fermo in quella posizione fino a che la tempesta si fosse sedata. Ma il vecchio indomito, non era tipo da starsene tranquillo a farsi schiaffeggiare dal mare. Austin disperò di portare a casa la pelle, l’aveva combinata grossa quella volta, affrontare l’oceano aperto da solo. Fin da piccolo il sogno più ricorrente era fare il viaggio del mondo in barca a vela. Talvolta apriva la carta marittima del padre e con una matita, chiudendo gli occhi, segnava un punto. Ogni volta scopriva il punto in cui sarebbe approdato se avesse circumnavigato la Terra.

Un pauroso cigolio della prua lo mise in allarme, forse il Kashim era davvero troppo stanco per riuscire in quell’impresa.

Austin legò la corda di manovra del timone con le forze residue. Si mise a poppa e si copri con il telo. A quel punto era meglio star fermo e recuperare un po’ di energie.

Protetto dall’incerata percepì che la violenza inaudita dell’oceano stava scemando. La barca non planava più con tonfi sordi tra le onde, ma si adagiava con un movimento gradualmente più naturale, dando a Austin una sensazione di morbidezza.

La tempesta concluse il suo giro infernale e lasciò il posto ad un placido dondolio. Andar per mare, ricordò Austin, era come affrontare ogni volta il giro della morte delle montagne russe. Quando finiva, giurava a se stesso che non ci avrebbe messo più piede. Alla fine ci tornava sempre, forse per provare di nuovo le stesse emozioni.

Uscì dall’angolo di poppa e vide davanti a sé un lembo di terra sabbioso. Stava per finire su un’isola sconosciuta e probabilmente deserta.

Dalle carte che aveva nello stipetto capì di essere uscito fuori rotta. L’arcipelago Figij era ancora lontano e lui era finito nella baia di  un isolotto sconosciuto. Tirò a mare l’ancora galleggiante, per frenare la barca. Ammainò la vela di tempesta e con il binocolo scrutò la lingua di terra. Una folta vegetazione di palme ricopriva l’entroterra, la costa era sabbiosa, una sabbia rosea, corallifera. Decide di farvi rotta. Aveva bisogno di calore. Dalla posizione del sole e dall’umidità si accorse di essere arrivato ai tropici, trascinato dalla corrente

Ancorò la barca al fondale e con un piccolo gonfiabile che teneva sottocoperta, scese in mare per perlustrare l’isolotto dalla forma di lingua di una misteriosa creatura marina.

Giunto sulla spiaggia, il calore della sabbia lo avvolse. Lasciò che il tepore buono gli entrasse dentro per togliere dalla sua pelle ogni ricordo del freddo patito.

Si sdraiò esausto sotto i raggi incandescenti del primo pomeriggio tropicale e si addormentò.

L’avventura vissuta non era cosa che si poteva scordare con una bella dormita. Domani sarebbe ripartito, domani sarebbe tornato con il vecchio Kashim verso le Figij. Il padre sarebbe stato fiero di lui.

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Pubblicato da Maura Puccini

La gente che piace a me si trova sempre sparsa qua e là; sono dei solitari... solo che si riconoscono non appena si trovano assieme

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